050
Düra guèra, che mì reŝisti!
Motto ironico, rivolto a chi se la passa benone.
051
Andà a mangià lèrba da la pàrt de le radìŝ.
Finire morto e sotterrato.
052
Ghé pasàda a Napuleón, ghe pasarà ànca a lü, che lé un cuión.
Riferito a chi si è impermalito con qualcuno, o sta attraversando un periodo di luna storta.
053
La pàr la madòna de Caravàg.
Di una donna talmente ingioiellata, da sembrare la statua della madonna venerata nel santuario di Caravaggio.
054
Te guarìs pü gnànca Tamé!
Sei irrimediabilmente matto! (detto a chi si comporta abitualmente in modo bizzarro; Tamé era un valente e famoso medico psichiatra lodigiano; se non ci riusciva lui
).
055
Conte dalle bràghe vónte.
Conte dalle brache unte, Nobile da strapazzo (per scherno a uno che vuol apparire più di quello che è); "vónte" è l'italianizzazione (dato il "titolo nobiliare" citato) di "vùnte".
056
Titùm e titéla, l'é tua l'é mia, l'é mòrta a l'umbrìa.
"E gira e rigira, e' tua, è mia, è morta all'ombra".
A commento di una situazione che non si sblocca.
057
Tüti i àni, na pàsa vün.
Ovvietà filosofica sulla ineluttabilità del passare del tempo.
058
Bagulón del lüster.
Era così definito il venditore di lucido per scarpe di inizio secolo, che, per convincere la gente ad acquistare un prodotto considerato "voluttuario", usava tutte le armi dialettiche, raccontando un sacco di frottole ("bàgule").
059
El pàr la reclàm del lüster Brill.
Per sfottere uno azzimato, con le scarpe lucidissime.
060
Caragnón del dòm.
"Piagnone del duomo".
Per dileggiare un piagnucolone o una persona lamentosa; "caragnón del dòm" è la definizione popolare del gruppo ligneo, allocato nella cripta della cattedrale di Lodi, rappresentante la scena della Pietà.
061
Barbiŝìn l'é 'ndài a Paül,
l'ha ciapàd un pé nel cül de quèi de lüsu,
sò papà l'é 'ndài anca lü,
n'ha rancàd un vün de pü de quèi de mòda.
062
Pé vùnc, va' a la fògna!
"Piedi sudici, corri alla fogna!"; insulto a uno coi piedi sporchi.
063
Ciàpa, che 'l gh'è!
"Acchiappalo, che lho afferrato!"
Esclamazione per negare qualcosa con scherno, o per significare "non ci casco".
064
"Dutùr, g'ho un dulùr".
Motteggio per schernire chi si lagna eccessivamente per un piccolo male.
065
Sciùr dutùr, chì g'ho un dulùr,
chì el me bàt, chì el me fa pràch.
Come sopra, con finale "rumoroso".
066
"G'ho un dulùr" - "ciàma el dutùr" - "g'ho el màl de pànsa" - "ciàma l'ambülànsa".
Come sopra, in una versione più elaborata e "pulita".
067
Gelàti Pampanìni,
cun l'àqua de i trombìni...
gelati De Nadàl,
cun l'àqua del canàl.
Motteggio irridente, e ingeneroso, indirizzato ai venditori ambulanti di gelato, che distribuivano in Lodi le fresche delizie dei due concorrenti (sui variopinti carrettini a triciclo).
068
Isa ìsa, ràbia stìsa/ìcia ìcia, ràbia stìsa.
Detto per stuzzicare uno già arrabbiato.
069
La mé Làura, quan la vör l'é una diàula.
Scherzosamente per dire di una propria figlia vivace o impertinente.
070
Làn làn, làn làn,
el malàd el pòrta el sàn.
Quando qualcuno si trova a curare o soccorrere uno più sano di lui.
071
Va bén, va bén,
l'han truàd tirént.
"Sta bene, sta bene,
l'hanno trovato stecchito".
Si usa dire a commento ironico di considerazioni sulla buona salute di qualcuno di cui si sta parlando, per significare la precarietà della vita.
072
Vöia de laurà, sàltum adòs!
Motteggio a chi non ha proprio voglia di lavorare.
073
Pùnta, Péder!
"Punta, Pietro!"
A commento di un tiraccio di punta nel gioco del calcio.
074
Andà al cìnema Diàna, sùta le quèrte de làna.
Scherzosamente "andare a dormire"; es.: "dùn te vé de bèl, stasèra?" - "vo al cìnema Diàna, sùta le quèrte de làna" .
075
Branchìn, branchìn..., brancón, brancón...
In un antico racconto, erano le risposte che una massaia dava al marito quando questi si lamentava per una minestra insipida (e lei: "ohà, brancón, brancón"; come dire "strano, ho messo una grossa branca di sale"), o troppo salata (e lei " ohà, branchìn, branchìn"; come dire "strano, ho messo pochissimo sale").
In famiglia, il modo di dire veniva usato spiritosamente per anticipare le risposte della "cuoca" (es. " brancón, brancón?"; come dire "è insipido; ora mi dirai che hai messo molto sale?").
076
Che ària tìra, lì in àlt?
Domanda scherzosa a una persona molto alta.
077
Or de Bulògna, che 'l divénta rùs da la vergògna.
Detto per l'oro falso.
078
Cìnch ghéi püsé, ma rùs.
"Cinque soldi in più, ma rosso".
Come dire "per portare un colore sgargiante, vale spendere qualcosa di più" (motto ironico a chi porta qualcosa di rosso acceso).
79
El püsé bón di rùs l'ha trài sò pàder nel pùs.
"Il migliore fra i rossi di capelli ha gettato suo padre nel pozzo".
Un tempo i "rossi" avevano nomea di essere particolarmente cattivi.
080
Dùnca, dùnca..., trì cunchìn i fan 'na cùnca.
"Dunque, dunque, tre piccole conche, fanno una conca"
Dato burlescamente in risposta a chi conclude un discorso con <dùnca>.
081
Un amìŝ/un mesté del Lèla.
Come dire "un amico dei miei stivali" o "un lavoro da niente". Lella era il nomignolo di un certo Bonella, cavadenti milanese, che godeva di una pessima reputazione.
082
El mesté del michelàs: pacià e bév e andà a spàs.
Il mestiere del fannullone.
083
Fà gnént l'ha mai lauràd.
Il signor "fa niente" non ha mai lavorato.
Motto di risposta a chi con leggerezza sottovaluta, dicendo "fa gnént", un lavoro non portato a termine, o un errore commesso, o una situazione critica che si è venuta a creare.
084
Gìra l'Ulànda, che l'América l'é grànda!
Invito a non raccontarle grosse, a lasciar perdere; ha anche il significato di "campa cavallo".
085
G'ho no de biŝògn, perchè, ringrasiàndu el Signùr, de biŝògn ghe n'ho fìn tròp.
Scherzo verbale, per dire che si ha veramente bisogno.
086
Verdeŝìn sperànsa dòra.
Color verdino delicato.
087
Giuàn guàrda ne la màrna.
"Giovanni guarda nella madia". Rivolto a persona lenta e goffa, ad un polentone.
088
Gliglì sùta chì.
Trastullo verbale per dire solletico sotto l'ascella, o sotto il palmo della mano.
089
Mét in bèrta.
Guadagnare qualcosa con destrezza; intascare in fretta, con disinvoltura; la berta è una pettorina di merletto usata anticamente negli abiti femminili; deriva forse dal nome della madre di Carlo Magno, probabilmente per la sua modestia; per estensione, ha poi assunto anche il significato di tasca; negli altri significati sembra derivare dal nome proprio Berta, incrociato con "bertuccia".
090
Murìre in cróce, per salvare l'anima nòstra.
A commento di una ferma ostinazione di chi , piuttosto che cedere/convincersi/fare/ecc., sarebbe disposto a farsi mettere in croce come Gesù Cristo.
091
Piàn barbé, che l'àqua la scòta.
Adagio Biagio!, ci vuole prudenza! Attenti a non scottarci!
092
Pacià, el paciòta; l'é a laurà che 'l barbòta.
"Mangiare, mangia; è quando deve lavorare, che si lamenta".
093
Tròpa gràsia, Sant Antòni.
"Troppa grazia, Sant'Antonio" (per dire che un bene eccessivo può riuscire talvolta molesto); si raccontava di uno che, non riuscendo a salire in sella al cavallo, si raccomandò a Sant'Antonio; lo slancio con cui effettuò un nuovo tentativo lo portò addirittura a capitombolare dall'altra parte.
094
Ghe n'é che mör, ma che nàŝ...
Scherzo verbale giocato sull'assonanza di "nàs" (nascere) e "nàŝ" (naso), per sottolineare ironicamente le notevoli dimensioni del naso di uno.
095
Se c'è, c'è, se non c'è, s'ciàu.
Scioglilingua in "italietto", per dire di una cosa o di una persona che se c'è va bene, altrimenti, pazienza.
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